Nel tragitto per andare al lavoro, ogni giorno attraverso con la bicicletta sulle strisce pedonali una circonvallazione interna milanese. Lì vicino c’è una scuola e a quell’ora ci sono quasi sempre i vigili urbani. Ormai l’ho capito: sulle strisce pedonali si passa portando la bici a mano.
Che nella mia personalissima interpretazione significa: sulle strisce chi comanda è il pedone e tutti gli altri vengono dopo. Per cui io, di solito, dalla bici non scendo ma vado pianissimo. Sto dietro a mamme con passeggino o vecchi con femori scricchiolanti. Aspetto il mio turno, insomma. E faccio anche attenzione a tenermi alla giusta distanza, perché capisco che, pur andando pianissimo, se stai troppo vicino a una vecchietta la fai preoccupare. E magari mi concedo pure uno sguardo di tenerezza a quel neonato in carrozzina. O un’occhiata finto distratta al fondoschiena di quella diciottenne.
Insomma, nel delirio di SUV che strombazzano, motorini che cercano di infilarsi ovunque, frenate all’ultimo secondo, gente che tiene il motore su di giri – cioè la tipica frenesia di una città che parte per la nuova giornata –, c’è questo flusso intermittente di mamme con passeggini, vecchietti, signori che vanno al lavoro con calma e io, con la bicicletta, che mi godo la cosa attentissimo a non rovinarla. Una specie di cartolina dei bei tempi andati dentro un film dell’orrore.
Lì possono succedere due cose diametralmente opposte. Nel primo caso, il vigile (in genere un maschio) mi guarda con la classica espressione di chi non contempla la possibilità di infrangere una regola. Il tipo che anche in mezzo all’invasione delle cavallette si controlla la piega dei pantaloni. Mi squadra come se io fossi chiaramente in cerca di guai. Può adottare un atteggiamento da maestrina o da Chuck Norris, ma comunque mi si para davanti. Alla fine la regola viene ripristinata: scendo dalla bici e vado a piedi. Non mi trattengo e lo guardo sconsolato. Non è un insulto, sono terribilmente triste per lui.
Nel secondo caso, la vigilessa (sì, qui sono solo donne) rivolge la sua ferma, se non feroce, autorevolezza contro i cattivi. Il camioncino che strombazza o la mamma sul SUV, che se le scappa il piede dal freno fa una strage. La vigilessa rivolge loro la schiena e apre le braccia per segnalare lo stop. Ma davanti invece… Davanti si gode, anche lei come me, lo spettacolo.
La bimba sul passeggino che fa gli urletti. La vecchietta ben curata che la ringrazia. E anche questo tipetto in giacca e cravatta sulla bicicletta che fa passare tutti e procede lentamente. Un sorriso se lo merita anche lui, un ultimo sorriso prima di abbassare le braccia e lasciare che il fiume di lamiere roboanti riprenda il suo corso.
Potrei, e ho provato, a fare parecchie considerazioni più o meno sessiste, ma nessuna mi convince. È che la vigilessa pensa col suo sentire. Il vigile pensa e basta.