L’arte, così come l’atletica, non è strettamente necessaria alla sopravvivenza. Ciò la differenzia dall’oppressiva pillola amara del “dover fare” e la riveste invece dell’aura piacevole di un obiettivo liberamente scelto.
Le persone si dedicano ad occupazioni artistiche ed atletiche perché desiderano farlo non perché devono. Ma sotto l’apparenza piacevole e invitante sono celati i potenti strumenti del miglioramento biologico e cognitivo. Per chi decide di concedersi tale lusso, arte e sport si differenziano da tutte le altre attività umane per la combinazione di evidente fascino e di utilità implicita che esse offrono.
Il concetto di arte come stimolatore del cervello sta diventando di pubblico dominio. I genitori suonano Mozart ai loro bambini, addirittura prima della loro nascita, sperando che questo possa alimentare il loro sviluppo cognitivo. Spesso politici e scienziati famosi hanno associato la loro genialità a occupazioni artistiche: pensate al violino di Einstein o alla tavolozza di Churchill.
Una mia studentessa, Beth Neimann, ha avuto modo di osservare personalmente un fatto interessante: mentre prendeva lezioni di piano alcuni mesi fa, notò di aver sviluppato maggiore altezza e lucidità anche le attività cognitive non legate alla musica. L’effetto era più pronunciato immediatamente dopo la lezione – quasi fosse una sorta di elaborazione cognitiva. Un risultato simile al famoso “effetto Mozart”: dopo aver ascoltato musica classica ci si sente più ricettivi sotto ogni aspetto. Evidentemente, molti intellettualituali, come Einstein e Churchill erano tacitamente (oppure anche apertamente, ma nessuno li ha interrogati in proposito) coscienti di tale fenomeno.