Quando gli edifici ci parlano
Fa ancora uno strano effetto discutere di che cosa dice un edificio.
Troveremmo la cosa più facile se gli elementi architettonici fossero più esplicitamente legati a ciò che esprimono, se per esempio esistesse un dizionario che stabilisse una corrispondenza sistematica tra mezzi e forme da un lato ed emozioni e idee dall'altro.

Fornirebbe utilissime analisi di materiali (alluminio e acciaio, terracotta e cemento) e di stili e dimensioni (di tutti i possibili angoli di un tetto e di ogni tipo e spessore di colonna). Vi figurerebbero voci sul significato delle linee concave e convesse, del vetro riflettente e di quello trasparente.

Il dizionario assomiglierebbe a quei giganteschi cataloghi che forniscono agli architetti informazioni sugli accessori per l’illuminazione e gli articoli di ferramenta, ma invece di concentrarsi sulle prestazioni meccaniche e sulla loro conformità alle norme spiegherebbe le implicazioni di ogni singolo elemento di un insieme architettonico.

Occupandosi in modo esauriente di queste minuzie, il dizionario riconoscerebbe che, proprio come cambiare una sola parola può mutare il senso di una poesia, anche l’impressione che noi abbiamo di una casa si trasforma quando un architrave piatto di pietra viene sostituito con uno lievemente curvo di mattoni. Con l’ausilio di una risorsa simile potremmo diventare lettori, oltre che scrittori, più consapevoli dell’ambiente che ci circonda.

Per quanto però un manuale di questo tipo possa essere utile nel descrivere ciò di cui ci parla l’architettura, da solo non sarebbe mai in grado di spiegare che cosa rende belli certi edifici quando ci parlano.

A. de Botton
dal libro “Architettura e felicità”