Per capirne i motivi dobbiamo considerare il modo in cui funziona il nostro organismo.
Così come un computer di per sé non sarebbe che una scatola inutile se non fosse per i programmi che si attivano, per cui di volta in volta diventa macchina da scrivere, calcolatrice, tavolo da disegno o mezzo di comunicazione, analogamente anche il nostro organismo ha i suoi programmi che ne determinano lo stato e la funzione.
Così come tra gli infiniti programmi di un computer ce ne sono alcuni che sono più indispensabili e usati, allo stesso modo il nostro organismo pur disponendo a sua volta di un numero illimitato di programmi, ne ha comunque di prioritari e fondamentali. Tra questi, due in particolare ci interessano per il tema in questione: il programma di azione e il programma di recupero.
Con il primo il corpo si dispone, come del resto indica il nome stesso, in una condizione di azione. Per questo motivo attiva soprattutto la propria componente muscolare, lasciando invece la componente viscerale in stand-by. Quando l’organismo si dispone invece in una condizione di recupero succede esattamente il contrario: si attiva la componente viscerale, quella che provvede alle pulizie di casa e cioè alla disintossicazione tramite eliminazione delle tossine (soprattutto per mezzo di fegato e reni) che procura senso di recupero e ritrovata freschezza. In questo caso va in stand-by la componente muscolare (pensate per esempio alla sensazione di debolezza muscolare che si ha durante l’influenza, quando l’energia dell’organismo è impegnata altrove).
La condizione ideale sarebbe quella per cui si attiva il programma di azione quando siamo in orario di lavoro, e il programma di recupero prima e dopo tale orario (e analogamente tra i giorni lavorativi feriali e i giorni del fine settimana o di vacanza).
Purtroppo non è proprio sempre così, dal momento che ci può essere una certa inerzia nel passare da un programma all’altro, per cui magari iniziamo la settimana lavorativa al lunedì mattina (o la stagione lavorativa a settembre) e facciamo davvero fatica a metterci in una condizione di produttività, e, allo stesso modo, iniziamo il week-end (o le tanto attese vacanze) e non ci riesce di lasciarci andare e rigenerarci.
Si può fare qualcosa per ovviare a questo problema?
Innanzitutto è interessante comprendere cosa attiva e disattiva questi programmi di base. Da sempre uno dei principali fattori che determinano la nostra specifica condizione psicofisica sono le particolari qualità dello spazio, come ad esempio dimensioni, proporzioni, forme, colori, disposizioni, ecc. Infatti alcune sono affini ad un programma, altre invece al suo opposto. Per meglio capire l’effetto dello spazio sulla persona pensate ad esempio alla musica composta da un artista in un momento di serenità e per contro a quella composta in un momento di irrequietezza. La musica rimane per così dire impregnata dalla condizione psicofisica dell’artista e così a chi l’ascolterà evocherà la stessa condizione.
Analogamente succede con lo spazio. I progettisti «impregnano» lo spazio di una certa condizione psicofisica che per gli anni a venire condizionerà chi si troverà a usufruire di quello stesso spazio.
Osservando spazi pubblici come alberghi, ristoranti, centri benessere, si nota spesso che i codici spaziali contraddicono la funzione del luogo stesso, oppure che la mente e il corpo dell’utente si ritrovano a subire messaggi contrastanti che sebbene non percepiti consciamente, creano a livello profondo una condizione di disagio.
L’intervento di psicosomatica dello spazio consiste in pratica nel rilevare la condizione psicofisica evocata da uno specifico spazio, nella verifica della sua coerenza con i fini a cui è destinato e nella proposta di accorgimenti e soluzioni che possano ridurre o eliminare l’eventuale incoerenza.
Nel caso di progetti ex-novo è invece possibile lavorare al fianco dei progettisti in modo da informare gli stessi sulle implicazioni psichiche e fisiche che ogni scelta progettuale comporta e sulle possibili alternative, in modo da permettere loro di entrare sempre più in un’ottica di «body-conscious design», ovvero di un tipo di lavoro che al momento della progettazione sia consapevole delle conseguenze che un qualsiasi progetto ha sul nostro intero essere.