Mente, corpo e cultura
Come le diverse forme culturali modificano la nostra fisiologia e psicologia.
Intervista realizzata da Ima Sanchís, per 'La Vanguardia' (principale quotidiano di Barcellona).

Introduzione

Jader Tolja dirige un laboratorio di ricerca presso l’Università di Bratislava, dove si studia la relazione tra corpo, mente e spazio per capire come le diverse forme di progettazione, dalla pianificazione urbanistica alla moda, cambiano le persone a livello neurologico.

In che misura lo spazio influenza la nostra fisiologia?

Il nostro sistema nervoso è progettato per realizzare precise modifiche nel corpo in risposta a stimoli esterni. Qualsiasi stimolo esterno, come la presenza o meno di acqua e vegetazione in una piazza, di fatto provoca uno specifico cambiamento all’interno del nostro corpo.

Qual è il problema?

Il problema è che chi progetta non sempre è consapevole, o si interessa, degli effetti fisiologici che il proprio progetto evoca. In una piazza di cemento il sistema nervoso reagisce all’essere a contatto con qualcosa di duro e secco con un atteggiamento di resistenza, di tensione subliminale. Il corpo in pratica ha difficoltà a rilassarsi. Mentre lo fa naturalmente in presenza di acqua o di terra.

Esistono studi a questo proposito?

Si. Sappiamo, per esempio, che se dalla camera di un ospedale si vedono alberi e verde, la persona ricoverata può essere dimessa in media tre giorni prima rispetto a quella che è stata ricoverata in una stanza senza vista sul verde.

Curioso.

Un bosco ci permette di non fissare l’attenzione su qualcosa di particolare. E’ armonioso e questo attiva automaticamente l’emisfero destro del cervello, quello più legato al sentire. Se al contrario nell’ambiente ci sono forti e numerosi stimoli visivi, si attiva invece l’emisfero cerebrale sinistro, che ci porta a restringere la visione, a focalizzarci.

La vita moderna ci porta ad essere sotto la direzione dell’emisfero sinistro del cervello.

Sì, mentre in realtà l’emisfero sinistro è stato progettato per servire il cervello destro. Ha presente Perry Mason?

Puro cervello destro?

Sì, Mason ha sempre una visione d’insieme e quando ha bisogno di informazioni più puntuali e specifiche incarica il suo assistente, Paul Drake: cervello di sinistra, analitico. Oggi, la nostra educazione, la cultura e la progettazione dei sistemi operativi ci convertono in tanti Paul Drake.

Questo che tipo di società crea?

Una società molto visiva, incapace di distinguere tra forma e contenuto, e quindi anche facilmente manipolabile. Vedere il cielo stellato ci permette di capire che siamo parte di una coreografia globale. Se tutto è ‘selfie’, facilmente finiremo per credere di essere il centro dell’universo.

E lei studia come evitarlo.

Studio come riprogettare il nostro ambiente, fisico e non, in modo che si adatti al nostro sistema nervoso e non viceversa.

Si tratta di cambiare il punto di vista.

Sì, occorrerebbe ri-progettare a partire dal corpo. Nel design di interni, ad esempio, quando l’arredamento e i mobili sono bassi e orizzontali il sistema nervoso si calma, mentre in presenza di elementi alti e verticali il nostro sistema nervoso si pone in una condizione di vigilanza mentale. La domanda che possiamo porci è: le scelte di design che facciamo sono coerenti con la condizione neurologica di cui abbiamo bisogno o la contrastano?

Potremmo andare lontano.

Si. Uno spazio lungo e stretto, come un canyon ad esempio, porta ad una situazione di allerta, perché limita la nostra possibilità di fuga e quindi ci attiva a percorrerlo il più in fretta possibile. Un orizzonte aperto, viene invece percepito dal sistema nervoso come più sicuro, per cui evoca naturalmente un senso viscerale di maggiore benessere. Il problema di fondo è che le città e la maggior parte degli oggetti sono stati progettati a partire dall’astrazione e dalla razionalità, causando di conseguenza situazioni di continuo sforzo fisico e mentale.

Questo è palpabile.

Noi ci adattiamo all’architettura, alla moda, piuttosto che adattare l’abbigliamento e lo spazio a noi, ed è un circolo vizioso: maggiore scollegamento del corpo, minor consapevolezza dell’effetto del design. E così le persone perdono progressivamente la capacità di accorgersi del prezzo che viene pagato fisicamente.

I tacchi ne sono un esempio.

Il problema maggiore non sono tanto i tacchi, anche se sono sufficienti 5 cm a far sì che i polpacci si accorcino e atrofizzino del 13%, quanto il fatto che quasi tutte le scarpe lateralmente non danno spazio alla distensione naturale delle dita. Il design parte da un’idea astratta di come è fatto un piede, a partire da uno stampo di legno conico con una estremità appuntita, che è l’esatto opposto del piede che ha una forma naturale a ventaglio per poter dare stabilità fisica e, di conseguenza, mentale.

E questo cosa provoca?

Il corpo è una tensostruttura e bloccare anche solo una delle sue 33 articolazioni significa bloccare anche tutto il resto del corpo. Basta provare: se si cammina con i piedi contratti non si possono avere le altre parti del corpo rilassate e libere, tutto il corpo è teso. Ma il problema va decisamente oltre.

Cioè?

Ciò che chiamiamo ansia, non è altro che l’espressione a livello psicologico di un blocco della respirazione a livello fisico. Se il piede è in un continuo stato di contrazione, si limita anche la respirazione. Se entrambi i piedi si muovono costantemente come due blocchi, viene inibita l’alternanza di rilassamento e contrazione tra i due lati del corpo, sradicando il concetto di “due” sia a livello corporeo che a livello psichico.

Con quali conseguenze?

Per esempio abbiamo difficoltà a sviluppare la capacità naturale di percepire le esigenze di due persone differenti come contemporanee ed equivalenti. A qualche livello continuiamo a ritenere che una debba adattarsi all’altra.

Dobbiamo quindi progettare a partire dal corpo.

La cultura è dominata dall’emisfero cerebrale di sinistra, espressione del mentale e dell’astratto, che ci condiziona in qualsiasi sua espressione, dall’educazione al modo di vestirci. Istruzione e sport, solo per fare un esempio, andrebbero riprogrammate partendo dall’idea che il nostro organismo funziona in base a un principio di piacere.

Di cosa ci sarebbe bisogno?

Di un processo di ‘educazione somatica’. Cioè di un processo di umanizzazione culturale che avvenga attraverso la comprensione di come funziona il nostro corpo e di conseguenza la nostra psiche. Ciò di cui abbiamo fondamentalmente bisogno è di recuperare la nostra capacità di ‘percepire’ il corpo.