In una via di condomini uniformi mi fermai davanti a un portone e provai l’intenso desiderio di trascorrere lì il resto dei miei giorni. Sopra di me, al piano rialzato, si aprivano i tre finestroni senza tende di un appartamento; all’interno i muri erano bianchi, decorati da un unico quadro pieno di puntini rossi e blu, e contro una parete scorsi una scrivania di quercia, una grande libreria e una poltrona. Volevo la vita suggerita da quello spazio. Volevo una bicicletta. Volevo infilare ogni sera la chiave nella serratura di quel portone rosso. All’imbrunire volevo accostarmi al fìnestrone senza tende per sbirciare in un appartamento identico sul lato opposto della strada, cenando a erwentsoep met roggebrood en spek prima di coricarmi in una camera da letto bianca tra lenzuola bianche.
Perché lasciarsi sedurre da un’inezia come il portone di una casa in un paese straniero? Perché innamorarsi di un luogo in virtù dei suoi tram e del fatto che la popolazione locale sembra non avere alcun bisogno di tende? Se l’intensità delle reazioni suscitate da particolari tanto piccoli (e muti) può apparirci assurda, la stessa dinamica ci è però nota a casa nostra: anche qui, infatti, scopriamo di amare qualcuno solo per il modo in cui imburra il pane, o, al contrario, di averlo in antipatia per il suo gusto in materia di scarpe. Condannarci per la piccolezza di simili dettagli significa ignorare la loro potenziale ricchezza di significato.