Architettura e politica
Due esempi eloquenti di come l'architettura può suggerire un'idea di governo e viceversa.
Se ci prefiggessimo il compito di creare immagini metaforiche della Germania in due periodi della sua storia – come stato fascista prima e come repubblica democratica poi - e potessimo lavorare non soltanto con una matita ma con la pietra, l’acciaio e il vetro, probabilmente non riusciremmo a fare meglio di Albert Speer ed Egon Eiermann, che crearono i padiglioni nazionali per le Esposizioni Universali tenutesi prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Il progetto di Speer per l’Esposizione di Parigi del 1937 fa uso di metafore visive che esprimono la quintessenza del potere: altezza, massa e ombra.

Anche senza considerare i simboli del governo che lo patrocinò avvertiremmo quasi certamente qualcosa di minaccioso, aggressivo e insolente in quel colosso neoclassico di oltre centocinquanta metri. Ventun anni – e una guerra – dopo, nel suo padiglione tedesco per l’Esposizione Universale di Bruxelles del 1958, Egon Eiermann fece ricorso a un terzetto di metafore completamente diverse, l’orizzontalità per suggerire calma, la leggerezza per implicare un senso di dolcezza e la trasparenza per evocare la democrazia.

Quindi materiali e colori sono così eloquenti che si può utilizzare una facciata per dire come dovrebbe essere governato un paese e quali principi dovrebbero guidarne la politica estera. I telai delle finestre e le maniglie delle porte possono esprimere concezioni politiche ed etiche. Un’astratta scatola di vetro su un piedistallo di pietra può cantare un peana in favore della tranquillità e della civiltà.

A. de Botton
dal libro “Architettura e felicità”