Afrodite in città
La psicologia sembra non prestare adeguata attenzione al carattere patogeno di un ambiente "brutto".

Certamente la sensibilità alla bruttezza non è in tutti la stessa, e non ci proponiamo di discutere delle differenze individuali (o di quelle tra uomini e donne) nella percezione del bello e del brutto, ma di sottolineare l’effetto deprimente che può avere per alcuni l’assenza di un culto ad Afrodite (al di là dell’aspetto strettamente erotico). Per esempio, per spiegare la difficoltà di adattarsi alla città di coloro che emigrano dalle campagne, si possono chiamare in causa mille ragioni, tutte valide: lo stress, l’isolamento sociale, la precarietà del lavoro, l’angoscia dinanzi a un nuovo modello di vita. Ma non bisognerebbe aggiungere a questa lista il fatto che la città è bella soltanto per chi possiede i mezzi per sostituire l’armonia perduta della Natura con quel “lusso, calma e voluttà” che il denaro può garantire?

La povertà accompagnata dalla bruttezza diventa squallore, e se è vero che in campagna il sole illumina tutti in egual misura, non è altrettanto vero in città, in certi suoi quartieri sovraffollati, in certi edifici mal progettati, inaccessibili alla bellezza.

Per coloro che, ”amanti della Natura”, hanno una disposizione naturale a rendere omaggio ad Afrodite, perdere la vista della montagna o del mare, del roseto che si arrampica alla casa o la contemplazione dei fiori diventa traumatico. Conosco un uomo, molto introverso, per il quale la visione del sorgere e del tramontare del sole rappresenta un autentico culto (inconscio) della bellezza: non poter più assistere al tramonto, né contemplare l’Aurora-dalle-dita-di-rosa significa aver perso il principale luogo di incontro con Afrodite. E sebbene non si esprima in questi termini, lui associa il suo stato depressivo alla sensazione di non vedere che “grigiore” e “monotonia”. Gli è stato sottratto lo splendore dell’oro e del rosa di Afrodite

G. Paris
Dal libro: “La rinascita di Afrodite”