Entrare nel proprio vuoto
La cultura occidentale insegna in maniera sottile a temere ed evitare il vuoto e a riempire lo spazio con la nostra azione o con oggetti.
Oppure noi lasciamo che sia l’azione degli oggetti (per esempio automobili, tv) a riempire il nostro spazio. In Oriente il vuoto può avere un valore supremo di per se stesso e in se stesso. Gli si può credere. Può essere produttivo. Il Tao Te Ching sottolinea che trenta raggi fanno una ruota, ma che solo nel vuoto del suo centro sta la sua utilità. Muri e porte fanno una casa, ma solamente nel vuoto che c’è tra di loro c’è la sua vivibilità.

Seguendo il punto di vista orientale ho provato a esplorare gli spazi vuoti. Se per caso il paziente analizzava ossessivamente ogni mossa e si preoccupava di ogni cosa della sua esistenza lo incoraggiavo a lasciarsi portare. Se riempiva lo spazio ansiosamente con parole, cercavamo insieme una possibilità di silenzio. Incoraggiavo la persona che aveva paura di scendere nella depressione a esplorarla.

Trovavamo sempre la stessa cosa, che il tanto temuto spazio vuoto è un vuoto fertile, e che esplorarlo è un punto di svolta verso il cambiamento terapeutico.

La “soluzione” passa attraverso i vuoti e le paure che ci trattengono dall’esplorarli, a mano a mano che questi vengono riconosciuti, perdono la loro forza.

A questo punto in questi vuoti possiamo anche entrare.

W. Van Dusen
Dal n.1 della rivista H'Q