Spazio e istinto fisico
L'architetto cerca per mezzo dello spazio di suscitare un determinato stato d'animo in coloro che “entrano” in esso.
Qual è il suo metodo? Ancora una volta egli si appella al movimento. Lo spazio, di fatto, è libertà di movimento: è questo il valore che esso ha per noi e come tale esso rientra nella sfera della nostra coscienza fisica. Ci adattiamo istintivamente agli spazi nei quali stiamo, ci proiettiamo in essi, li empiamo idealmente con i nostri movimenti.

Prendiamo il più semplice degli esempi. Quando entriamo dal fondo di una navata e ci troviamo davanti una lunga prospettiva di colonne, cominciamo, quasi per impulso, a camminare in avanti, perché così richiede il carattere di quello spazio. Anche se stiamo fermi, l’occhio è tratto a percorrere la prospettiva, e noi, in immaginazione, lo seguiamo.

Lo spazio ci ha suggerito un movimento: una volta che questa suggestione si è fatta sentire, tutto ciò che si accorda con essa parrà aiutarci, e tutto ciò che l’ostacola parrà inopportuno e brutto. Esigeremo, inoltre, qualche cosa che chiuda e soddisfi il movimento – una finestra, per esempio, o un altare – e un muro liscio, che sarebbe una terminazione inoffensiva se si trattasse di uno spazio simmetrico, diventa brutto alla fine di un asse enfatico com’è quello della fila di colonne, semplicemente perché un movimento senza motivo, e che non porta a un punto culminante, contraddice i nostri impulsi fisici: non è umanizzato.

Geoffrey Scott