Un papà, due figli, tre cime…
...e alcune linee di forza.
Ero su un sentiero, di ritorno dalle tre cime di Lavaredo, con la piccola sulle spalle. Entrambi i piccoli avevano faticato. L'altitudine. Il quarto giorno di montagna. Il sole fortissimo di oggi e un venticello fresco niente male.
Il grande continuava (dopo continue promesse di glorie imperiture) a camminare imperterrito. Ma la piccola invece, con i suoi tre anni ancora da raggiungere, era a rischio di abbiocco improvviso.

Avevo fatto e rifatto tutti i calcoli possibili e immaginabili. Stavo cercando di nascondermi l’ovvio provando ad intortarla con l’ennesima storia o canzoncina. All’improvviso l’ovvio è successo: si è addormentata. E sapevo che non sarebbe più stato possibile tenerla li. Avrei dovuto prendermi in braccio quei quindici chili. Tutti fatti di tenerezza e coccole eh. Ma restavano pur sempre quindici chili e io pur sempre un magrolino e sedentario papà.

Il punto non era quello. Il punto era che mancavano come minimo tre quarti d’ora all’auto e portare un sacco di patate per quarantacinque minuti dopo una giornata su e giù per i monti non è uno scherzo.

Vedevo, nel frattempo, che mia moglie continuava a chiacchierare (e camminare) con il grande e quindi da quel lato tutto era sotto controllo.

Bene. Ma restavo io, segaligno come sono, con le mie due braccette, quei quindici chili e quei tre quarti d’ora….

L’ho fatta scivolare dalle spalle a in braccio come un contorsionista del circo. Lei, da provetta scimmietta, ha subito appoggiato la testa alla spalla e fatto un lunghissimo e soddisfatto respiro che significava qualcosa tipo: “Ed ora sono tutti cazzi tuoi”.

Ho capito all’istante che non avrei potuto farcela. Dovevo inventarmi qualcosa e…… perché no? L’anatomia esperienziale…. In un paio di seminari avevo sentito parlare di una roba definita come “linee di forza”. In uno dei due si parlava solo di quello e le avevamo cercate in tutto il corpo. Dai piedi alla testa. Nelle braccia. Di traverso e in diagonale. Linee così chiare e determinanti e forti che puoi metterti, come gli africani, un peso sulla testa e poi camminarci, non solo in equilibrio ma senza neppure sforzo, anzi con una certa eleganza.

Ecco: esattamente quello di cui avrei avuto bisogno. Ci avevo già provato quando quei quindici chili erano sulle spalle. Ma era più facile. Era un po come se mia figlia fosse l’immaginaria continuazione della mia colonna vertebrale.

Ma se invece la figlia ce l’hai di fronte che fai?

E lì che è successo qualcosa di inaspettato. Perché mi sono ricordato come avevamo fatto a trovare la linea di forza camminando e ho provato a rifare lo stesso procedimento e … improvviso e liberatorio ho sentito gorgogliare lo stomaco.

Ormai lo so. Se sento gorgogliare li, vuol dire che é fatta.

Davvero! È solo per quello che c’ho creduto. Perché io la linea di forza l’ho sentita netta, chiara e limpida. Ma passava in un punto che non mi sembrava vero ma solo immaginario: esattamente a metà tra me e mia figlia.

Subito subito ho alzato gli occhi e, pazzesco, ho sperato fortissimamente che il rifugio con il parcheggio fosse ancora lontano. Stavo troppo bene. Stavamo troppo bene. Camminavo leggerissimo, quasi rimbalzando. Più pesante si, ma in un equilibrio così armonico che sembrava un massaggio. Ho alzato gli occhi e visto che mia moglie era sempre più avanti. Stavo rallentando: non volevo più arrivare! Ho sentito in modo chiaro e netto cosa vuol dire essere in due. Io di qua. Mia figlia di là. Ben separati, ma ben coscienti di quel comune punto di contatto.

Ad un certo punto, per esempio, si è spostata e mi ha messo la testa sull’altra spalla. Camminavamo con le teste in diagonale uno di qua l’altra di là, che normalmente sarebbe stato da torcicollo per entrambi ma no, eravamo in due, con la nostra linea di forza che sentivo con sempre maggiore chiarezza ed eravamo non solo equilibrati, ma un solo camminare. Un solo muoverci. Facciamo finta di voler tante cose belle e più o meno materiali o mistiche e belle etc ma la verità è che tutti noi in fondo bramiamo di avere la possibilità di stare in contatto con qualcuno.

Arrivato al rifugio ho smesso di pensare tutte ste cose e tornando al mondo reale ho guardato dove fosse l’auto. Non era così vicina e c’era ancora un centinaio di metri e per giunta in forte salita e uuuhhh… le braccia stavano diventando pesantissime e… Immediatamente ho riiniziato a sentire le linee di forza. Sono arrivato all’auto sorridendo e ho messo la piccola sul seggiolino sicuro di altre due belle ore di sonno, distrutta com’era…

E lì mi sono arreso.

Perché si è svegliata come se avesse avuto ciò di cui aveva bisogno. Ha chiesto biscotti e acqua.

E da quel momento in poi, mentre ormai guidavo per tornare alla base, ho sentito solo risate arrivare da dietro… il grande faceva finta di morsicarla e poi sfilarle i pantaloni e lei rideva a crepapelle e non riusciva a smettere e…

Andrea Ambrogio