Il calciatore nascosto
Dal Milan alle partitelle con i ragazzi. Sotto falso nome.
Le storie più belle, dal ritorno di Ulisse in veste di vecchio barbone a Itaca all’incontro della principessa Sissi vestita da contadina col giovane Franz Joseph vestito da cacciatore nel bosco della Baviera, sono storie di misconoscimento e di riconoscimento. Ho sentito in televisione nella trasmissione “Sfide” una storia di travestimento e agnizione calcistica, che mi è molto piaciuta. E’ la storia della mezzala Lodetti, raccontata da lui medesimo.

Giovanni Lodetti, “indomito cursore e cacciatore di palloni” – così racconta  l’eccellente numero speciale dell’Europeo dedicato al calcio – esordì in Nazionale nel 1964. Ne 1970 fu convocato per i Mondiali del Messico (quelli famosi di Italia-Germania 4-3, persi in finale col Brasile). Era in Messico con gli altri quando Valcareggi, l’allenatore, e Mandelli, che era capo della spedizione, lo convocarono e gli comunicarono bruscamente che poteva tornarsene a casa. Mandelli era noto pressoché solo per i suoi modi militareschi. Era ostile a Rivera e fautore di Mazzola, e Lodetti era amico di Rivera e suo compagno nel Milan.

Lodetti che era interno destro, e persona seria, non prese neanche in considerazione l’offerta di restare in vacanza in Messico, famiglia compresa, e di prendere lo stesso i soldi dei premi partita, mandò i boss a quel paese, e tornò in Italia. Dove la sua carriera rotolò precipitosamente. Il Milan lo vendette alla Sampdoria. (Questa premessa è raccontata nell’altro bel numero speciale sul calcio, quello di “Diario”).

A carriera finita succede la storia che mi è tanto piaciuta. Lodetti ha lasciato il calcio, e benché sua moglie gli raccomandi di fare una vita tranquilla, si tiene più o meno in forma andando a correre al parco Trenno.

Un giorno mentre corre in tondo, una partitella di ragazzi attira il suo sguardo – la coda dell’occhio dei campioni resta attaccata a un pallone.

Si accorge subito che una delle due squadre è in inferiorità numerica di uno. Continua a correre ma gli è venuto un pensiero. Ripassa da lì, si ferma, e propone alla squadra cui manca uno di lasciarlo giocare. Lo guardano un po’ stupiti, un po’ imbarazzati. “Ma non vede che siamo giovani? Che giochiamo fra di noi?” Lodetti ci rimane un po’ male, si scusa, saluta e si rimette a correre. Dopo un po’ ci ripensa, fa dietro front e torna al campetto. “Va bene, ma che vi costa? A voi manca uno io mi sgranchisco un po’”. Per giunta stanno anche perdendo 4-1. I ragazzi sono sempre più seccati, però uno più autorevole, dice “Ma sì, entra, vai”. E lui entra. La partita va avanti, si arriva al 4-3, poi al 4-4, e finisce. Strada facendo l’hanno guardato con aria interrogativa. Alla fine gli vanno intorno amici e avversari. “Ma tu dove hai giocato?” Nella squadra della ditta, dice lui, anzi in questo periodo mi devo allenare un po’. “E come ti chiami?” Lui aveva indosso una giacca a vento con su davvero il nome di una ditta: Ceramica. “Mi chiamo Ceramica”, dice.

A quei tempi ricorda Lodetti non è che si vedesse tanta televisione come ora, le facce dei calciatori si vedevano sulle figurine e poco più. Insomma, con qualche perplessità, qualche curiosità, si mettono d’accordo di ritrovarsi per la partita prossima. E da allora Lodetti diventa titolare fisso nella squadretta. Per anni, puntuale. Un pilastro del loro centro campo. Passa Ceramica, tira Ceramica, ciao Ceramica. Finché un giorno capita lì in bicicletta un vecchio amico e tifoso di Lodetti. Lo vede, guarda bene, lo apostrofa: “Ehi, Giovanni, ma che fai qui?” Così finita anche la carriera di Ceramica. Lo svelatore chiama i ragazzi, e gli dice: ma voi non sapete che questo ha giocato nel Milan, nella Nazionale, ha vinto un campionato d’Europa, e così e cosà. Lui per anni aveva tenuto il segreto: un segreto da interno destro.

Perché mi è piaciuta tanto la storia? Intanto perché è bello vedere dei calciatori, e addirittura dei campioni, che giocavano perché gli piaceva.

A. Sofri
Da La gazzetta dello Sport del 12 giugno 2002