Corso di nuoto
"To be surprised, to wonder, is to begin to understand."
Jose Ortega Y Gasset

Avendo bimbi piccoli, conosco un bel po’ di gente che ha bimbi piccoli. Uno dei discorsi che ogni tanto salta fuori è quanto sia utile anche se forse esagerato fargli imparare delle cose al più presto. Da un lato c’è la disarmante capacità con cui apprendono qualsiasi cosa, dall’altro il timore di volerli “spingere” troppo (siamo genitori avanti, mica arrivisti yuppies anni novanta).

Se sei costretto a prendere la tata, per esempio, perché non prenderla che parla inglese…? Ce ne sono mille altre di possibilità di questo tipo. E l’offerta non manca. Piccoli Mozart, scalatori, ballerine potrebbero crescere. Ma su un punto, e non capisco bene perché, c’è assolutismo decisionale: il corso di nuoto. Gli danno i nomi più altisonanti o intriganti, ma lo scopo è uno solo: devono imparare a stare a galla al più presto. Forse perché è l’unica cosa su cui c’era già comunione d’intenti quando eravamo piccoli noi che adesso siamo papà e mamme. Ma tutti, tutti tutti quelli che conosco i figli, in piscina, li mandano.

Lo devo ammettere. A me ogni tanto i sensi di colpa vengono. Soprattutto quando il mio, di bimbo, che ha tre anni, si sdraia nella vasca da bagno e tutto felice mi dice che lui sa nuotare. Che non solo sai che è l’unico che ancora non sa galleggiare, ma rischia pure di passare per pirla…

E questa settimana al mare ho rischiato il tracollo emotivo a vedere tutti ‘sti bimbi che manco Federica Pellegrini è cosi brava…

Ecco per esempio oggi. Il gioco era farmi buttare l’annaffiatoio giocattolo nel mare e poi aggrapparsi a me per andare a prenderlo. E mentre lo trascinavo lui che diceva: “Guarda come nuoto”. Lo sguardo di rimprovero di alcune mamme e nonne mi ha fatto sentire una cacca. E poi mentre tornavamo a riva mi lasciava la mano e faceva un “tuffo”, dove ormai l’acqua, a me, arrivava alla caviglia…

Mentre ero lì che cercavo di abituarmi all’idea che mio figlio sarebbe

diventato lo zimbello della spiaggia, lui ha fatto il solito tuffo e si è

fermato un attimo, con le braccia puntate nel bagnasciuga. Iniziava ad essere stanco. L’acqua gli ha sollevato prima le gambe, poi il culetto e un pezzo di schiena. È rimasto così un nano secondo. Poi si è dovuto girare verso di me. Aveva gli occhi dello stupore.

In un istante ho pensato che era inevitabilmente arrivato il momento e l’ho preso. Con dolcezza (ah che padre spaziale!). L’ho girato con la pancia in su e gli ho detto che avrebbe galleggiato anche cosi. S’è irrigidito all’istante e ho lasciato perdere. Avevo di nuovo rovinato un momento magico.

Subito dopo un ragazzo s’è tuffato ed ha iniziato a sbattere forte le gambe, nuotando con un po’ troppa enfasi. Mio figlio m’ha guardato come a dire: “sta a vedere”. S’è rigirato a pancia in giù e ha iniziato a sbattere le sue gambette galleggianti.

In quel momento è arrivata mia moglie che m’ha guardato tutta stupita (si, lo stupore è iper contagioso) e m’ha detto “Mah! Va a finire che questo qua imparerà a nuotare da solo”.

Si, ho pensato, se riesco a trattenermi dal mettermi in mezzo, sì…

A quel punto mi sono passati davanti tutti i gli insegnanti, maestre,

professori che ho avuto dalle elementari in poi…

Eh sì. L’unica cosa che facevano era proprio e solo mettersi in mezzo…

Andrea Ambrogio