L'integrità
Benchè i dottori lo curassero,
gli cavassero sangue
e gli facessero prendere molte medicine,
tuttavia guarì.
Lev N. Tolstoj
Quando il non trattamento è il miglior trattamento.

Una domenica mattina entrando in ambulatorio vi trovai una coppia di genitori venuti all’ambulatorio con la loro figlioletta di 4 anni dopo essere stati in chiesa. Erano puliti, ordinati, ben vestiti e piuttosto preoccupati per la malattia della bimba, anche se ovviamente non preoccupati fino al punto di rinunciare ad andare in chiesa e venire prima. La bimba aveva la tosse, il naso chiuso e la gola leggermente arrossata e tutto ciò durante la notte la disturbava. Non aveva la febbre, non aveva problemi respiratori e non sembrava soffrire molto. Dopo averla visitata giunsi alla conclusione che aveva il raffreddore. Prescrissi quindi il trattamento appropriato a questi casi: un decongestionante per liberare il naso chiuso, uno sciroppo per la tosse e moltissime bevande calde (perfino il brodo di pollo che fa meraviglie per il raffreddore). Rassicurai i genitori che il raffreddore si sarebbe risolto entro una settimana e che la bimba sarebbe comunque stata abbastanza bene.
Ma il padre non fu soddisfatto. Disse: “ La bimba è malata e ha bisogno di antibiotici”.

Spiegai, spero pazientemente, che un antibiotico non era adatto. La somministrazione di antibiotici avrebbe semplicemente portato al rafforzamento di una serie di batteri che essendo più forti sarebbe stato più difficile debellare con antibiotici quando questi sarebbero stati veramente necessari. Continuai spiegando che gli antibiotici, come gli eserciti, non uccidono solo i cattivi ma anche i buoni. Quando nella storia delle guerre un esercito, anche se umano, é riuscito pur con operazioni mirate a sradicare con precisione chirurgica il nemico lasciando intatte la vita e le case dei civili?

Purtroppo il mio piccolo discorso servì solamente ad irritare il padre della mia paziente.

Si alzò e sporgendosi sopra di me con tutto il suo metro e novanta d’altezza dichiarò minacciosamente che era venuto per un antibiotico e che un antibiotico era esattamente ciò che avrebbe avuto.

A questo punto, un uome meno sciocco di me avrebbe detto: “Il cliente vuole un antibiotico? Ok, il cliente avrà un antibiotico”. Avrebbe scritto la ricetta e l’avrebbe mandato a casa. Questa soluzione avrebbe reso tutti felici: la casa farmaceutica che produce antibiotici, l’organizzazione che li distribuisce, il management che ne trae profitti; la clinica che ama i pazienti felici e vuole che il business continui, le infermiere che desiderano vedere i pazienti andarsene sorridendo, i pazienti che vogliono ottenere ciò che desiderano e persino il medico che è rispettato per fare un cattivo lavoro ed è con ciò messo al riparo da un mucchio di lamentele che finirebbero per lasciarlo senza lavoro.

Ciononostante non seguii la strada politicamente corretta o per meglio dire prudente. Sapevo di aver dato la cura più adatta, come riconosciuto in numerosi articoli sulle più prestigiose riviste mediche e come doverosamente riportato sui giornali locali. Così mi attenni ai miei principi e rifiutai di prescrivere l’antibiotico richiesto esponendomi all’ira e al disagio di tutti, non ultimo me stesso, mentre le conseguenze si riflettevano su tutto il sistema.

Questo episodio definì la mia carriera perché sottolineò ciò che io credo essere la cosa più importante che un medico può fare per il paziente. Quando mi chiedo: “Cosa vorrei da un professionista? Cosa vorrei da un medico?” molte cose mi vengono alla mente come la conoscenza, la capacità, la saggezza, la gentilezza, la compassione. Ma la più importante, quella che sta al di sopra di qualsiasi altra qualità è: l’integrità.

S. Grazi – M. Costa