Una terza via
Un nuovo modo di stare nella relazione terapeutica?
“..…non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza e sul mio cammino, lo so fin d’ora, la felicità mi aspetta come una trappola inevitabile. Perché persino là, accanto ai camini, nell’intervallo tra i tormenti, c’era qualcosa che assomigliava alla felicità. Tutti mi chiedono sempre dei mali, degli “orrori”: sebbene per me, forse, proprio questa sia l’esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno. Sempre che me lo chiedano. E se io, a mia volta, non l’avrò dimenticata”.

È la pagina con cui si chiude il libro – Essere senza destino – di Imre Kerstez (ed. Mondolibri).

La storia di un ebreo ungherese quindicenne deportato ad Auschwitz e liberato a Buchenwald.

Confortante. Anni fa, allo stesso modo, trovai confortante la teoria dello yin e dello yang: la teoria del tutto è relativo e in continua trasformazione, delle condizioni non assolute, dell’alternanza; una teoria che mi apriva uno scenario diverso sulla vita, sulla salute, sulla sofferenza.

Ma poi ci si dimentica, come ricorda l’autore del libro e si finisce col far ricadere tutto dentro le “abitudini” della propria cultura, anche quello che è stato attinto da un mondo lontano.

E si riperde il senso dell’alternanza, ci si dimentica del concetto di trasformazione insito in ogni realtà. Si ricomincia a lottare per far trionfare il bene sul male, la salute sulla malattia, la felicità sulla sofferenza.

Possiamo allora lavorare partendo dal trauma stando dalla parte della malattia, oppure, al contrario, dalle risorse che stanno sul fronte della salute. Ma in entrambi i casi se non si cambia il pensiero che sta alla base, non si generano cambiamenti sostanziali.

Abbiamo allora tecniche più immediate e risolutive che mirano all’eliminazione del sintomo e tecniche più rispettose che vogliono amplificare la salute e quindi togliere spazio alla malattia.

Che sia testa o croce, la moneta rimane la stessa: il conflitto.

Ecco perché ho trovato confortante la pagina del libro. E’ come se creasse una terza condizione. Una condizione che mi appare ancora nebulosa e difficile da raccontare, ma percepibile. Una condizione in cui non esiste tensione o lotta, in cui non ci sono risposte da dare. Semplicemente stare, osservare, riconoscere. Stare con presenza, accoglienza, rispetto, non giudizio.

Che sia questo il nuovo modo di stare nella relazione terapeutica?

Silvio Mottarella