Ripensare la bruttezza
Il numinoso nascosto nella materia
Sull’appennino marchigiano, dalle parti di Piobbico, esiste il Club dei brutti. Il suo motto è che la bruttezza è una virtù e la bellezza schiavitù.

Lassù la vedono come Plotino, per il quale la bruttezza vera era quella dell’anima e non delle cose sensibili. E la bruttezza dell’anima è non essere pura, trasparente, ma sporca, come l’oro con il fango e, tolto il fango, resta l’oro, che è bello quando è separato dagli altri elementi e resta solo con se stesso.

Questa silenziosa solitudine dell’anima, che ha faticato per pulirsi e tenersi alla larga dall’accondiscendenza con la materia corporea (Enneadi, I,X) è la via per vincere la reale bruttezza. Che è quella dell’attaccamento alle cose, della passività, della cecità, della paura, della pesantezza, dell’ignoranza, del male e dell’egoismo narcisistico brutale. Un tema natale può essere brutto? Assolutamente no. Può essere faticoso, impervio, lento, ma -Plotino aveva ragione- sta a chi lo possiede conoscerlo, viverlo in modo sempre più cosciente, fino a farne svanire le linee oscure.

La bruttezza sensoriale, delle forme, come la intende il mondo, è invece legata ad aspetti spesso duri che subisce Venere, ma questa bruttezza, come l’oro ripulito, può ribaltarsi in qualcosa di affascinante, di misterioso, interiore, magico e luminoso.

Marco Pesatori
Da D di Repubblica