Come cambiano le mamme
Il difficile equilibrio tra l'essere madre e l'essere donna.
Un tempo la madre tendeva ad uccidere la donna, ora spesso il rischio è l’opposto: che la donna possa sopprimere la madre.

Nella cultura patriarcale la madre era sintomaticamente destinata a sacrificarsi per i suoi figli e per la sua famiglia, era la madre della disponibilità totale, dell’amore senza limiti. I suoi grandi seni condensavano un destino: essere fatta per accudire e nutrire la vita. Questa rappresentazione della maternità nascondeva spesso un’ombra maligna: la madre del sacrificio era anche la madre che tratteneva i figli presso di sé, che chiedeva loro, in cambio della propria abnegazione, una fedeltà eterna.

È per questa ragione che Franco Fornari aveva a suo tempo suggerito che i grandi regimi totalitari non fossero tanto delle aberrazioni del potere del padre, ma un’“inondazione del codice materno”, una sorta di maternage melanconico e spaventoso.

La sicurezza e l’accudimento perpetuo in cambio della libertà. Sulla stessa linea di pensiero Jacques Lacan aveva una volta descritto il desiderio della madre come la bocca spalancata di un coccodrillo, insaziabile e pronta a divorare il suo frutto. Era una rappresentazione che contrastava volutamente le versioni più idilliache e idealizzate della madre.

Quello che Lacan intendeva segnalare è che in ogni madre, anche in quella più amorevole, che nella struttura stessa del desiderio della madre, troviamo una spinta cannibalica (inconscia) ad incorporare il proprio figlio. È l’ombra scura del sacrificio materno che, nella cultura patriarcale, costituiva un binomio inossidabile con la figura, altrettanto infernale, del padre-padrone. Era la patologia più frequente del materno: trasfigurare la cura per la vita che cresce in una gabbia dorata che non permetteva alcuna possibilità di separazione.

Il nostro tempo ci confronta con una radicale trasformazione di questa rappresentazione della madre: né bocca di coccodrillo né ragnatela adesiva né sacrificio masochistico né elogio della mortificazione di sé. Alla madre della abnegazione si è sostituita una madre che non vive per i propri figli, ma che vuole rivendicare la propria assoluta libertà e autonomia dai propri figli.

Il problema della madre narcisista non è più, infatti, quello di separarsi dai propri figli, ma di doverli accudire; non è più quello di abolirsi masochisticamente come donna nella madre, ma vivere il proprio diventare madre come un attentato, un handicap, anche sociale, al proprio essere donna.

La spinta divoratrice della madre-coccodrillo si è trasfigurata nell’ossessione per la propria libertà e per la propria immagine che la maternità rischia di limitare o di deturpare. Il figlio non è una proprietà che viene rivendicata, ma un peso dal quale bisogna sgravarsi al più presto.

È il dilemma di molte madri di oggi. Il problema non consiste affatto in quella rivendicazione (legittima e salutare anche per gli stessi figli), ma nell’incapacità di trasmettere ai propri figli la possibilità dell’amore come realizzazione del desiderio e non come il suo sacrificio mortifero.

Se la maternità è vissuta come un ostacolo alla propria vita è perché si è perduta quella connessione che deve poter unire generativamente l’essere madre all’essere donna. Se c’è stato un tempo — quello della cultura patriarcale — dove la madre tendeva ad uccidere la donna, adesso il rischio è l’opposto; è quello che la donna possa sopprimere la madre.

M. Recalcati
da La Repubblica