L’ozio è il padre dei geni
Come i geni affrontano le crisi.

Tra il 1665 e il 1666, a Londra, un quarto della popolazione sarebbe morta di peste. Fu uno degli ultimi grandi focolai nei 400 anni in cui la Morte Nera devastò l’Europa. In quegli anni in Inghilterra viveva Isaac Newton. Mi sono chiesta: come si è comportato lui in questa situazione di emergenza?

Newton aveva 20 anni, ed era studente universitario al Trinity College di Cambridge. Era un semplice studente, non portava ancora quella parrucca con cui siamo abituati a vederlo ritratto. E alle misure di distanziamento sociale messe in atto dal governo, lui si rinchiuse nella sua casa  di campagna, la Wollsthorpe Manor, la tenuta di famiglia a nord-ovest di Cambridge. E si dedicò all’ozio, al pensiero, e ai suoi esperimenti. Nella sua stanza si incuriosì di un raggio di luce che entrava dalle persiane e si mise a guardarlo da ogni angolazione, utilizzò un prisma, e da quelle semplici sue osservazioni è nata la sua ottica, che oggi è su tutti i libri di scuola.

In giardino c’era un melo, tra i tanti alberi. E lui si sedeva spesso sotto quel melo, per leggere, per pensare. La caduta di una mela gli fece fare nuove riflessioni, questa volta sulla Luna: si chiese come mai la Luna non cadesse sulla Terra come fa la mela in giardino quando si stacca dall’albero. Proprio quell’anno di isolamento per lui diventerà l’anno delle meraviglie. Approfondì la matematica che aveva visto all’università di Cambridge, e lo fece da autodidatta, scrisse i suoi più importanti trattati. Newton utilizzò il suo tempo libero per creare, fece esplodere la sua creatività. Mi piace raccontare questa storia, affinché possiamo farci abbracciare da lui, e dai grandi che hanno utilizzato i momenti di crisi per crescere. Ed è anche divertente immaginarli in tuta o in pigiama tutto il giorno. Tanto l’importante è far viaggiare la testa, l’infinito è da altre parti.

Gabriella Greison
da La Repubblica