Inutile dircelo
La voce dei poeti suona sempre da sola.
Un dì si venne a me Malinconia

È l’incipit di un famoso sonetto dantesco. Ogni volta che lo leggo mi vengono i brividi. Ogni volta che lo spiego in classe cerco di passare quei brividi ai miei allievi. Entro, mi siedo, apro molto lentamente l’antologia. Aspetto che il brusio iniziale si plachi e quando c’è totale silenzio inizio. La materia che insegno ha spesso bisogno di totali silenzi.

Forse anche di buio. Quand’ero più giovane, per strafare, ordinavo di chiudere le luci e di abbassare le tapparelle della classe. Poi, con una specie di pila tascabile sul libro, cominciavo a leggere. La voce aveva di colpo una forma diversa, anche il silenzio in cui cadeva era diverso: era come se il mondo fosse stato annullato; e in particolare lo spazio e il tempo non esistessero più.

Esageravo. Ero molto giovane. E anche il mondo che avevo intorno a me sembrava più giovane. Credo che uscissimo di lì tutti commossi. Ma lo credo soltanto, perché non ce lo siamo mai detto. La poesia finiva, tiravamo su le tapparelle e riaccendevamo la luce. Il difficile, a quel punto, era far lezione, era dire una qualsiasi parola di commento, di spiegazione anche minima: tutto suonava falso, ridondante, inappropriato. Come quando esci da un film molto commovente e vedi la gente di sempre e la vita ordinaria fluirti intorno, come se non fosse successo niente. E invece è successo tutto, ed è proprio inutile dircelo.

P. Mastrocola
da La scuola spiegata al mio cane