Hegel, nella sua Fenomenologia dello Spirito, ci offre il seguente passaggio:
“L’oggetto è in parte essere immediato o, in generale, una Cosa – corrispondente alla coscienza immediata; in parte, un altro da sé, poiché la sua relazione o essere-per-un-altro, e l’essere-per-se-stesso, cioè determinatezza, corrisponde alla percezione; e, in parte, essenza, o nella forma di un universale — che corrisponde alla Comprensione. E’, in quanto totalità, un sillogismo o il movimento dell’universale verso l’individuale attraverso la determinazione, come anche il movimento inverso, dall’individuale, attraverso la determinazione, verso l’universale.”
Prendere un brano a caso da un’opera filosofica densamente argomentata può essere ingiusto, ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che, anche con la miglior volontà del mondo e un intelletto duttile e vivace, l’argomentazione di Hegel raramente si innalza oltre l’enigma.
Eppure un testo che ci fa soffrire può essere considerato in qualche modo più valido, più profondo e più vero di uno che si legge in modo chiaro e fluido. Il lettore sensibile che si immerge in Heidegger o in Husserl può pensare: Quanto è profondo questo testo; se io non lo capisco, è sicuramente perché è al di sopra della mia intelligenza. Se è difficile da capire, vale molto di più la pena di cercar di capirlo, invece che gettarlo da parte e dichiararlo intollerabilmente privo di senso.
Il masochismo accademico riflette il pregiudizio metafisico secondo il quale la verità è un tesoro difficile da conquistare, e ciò che è letto o appreso con facilità deve quindi essere mutevole e irrilevante. La verità dovrebbe essere come una montagna da scalare: pericolosa, oscura ed esigente. Sotto la dura luce della sala di lettura della biblioteca, dice il motto accademico: più un testo mi fa soffrire, e più dev’essere ricco di verità.