Un giorno, nel corso di un corso per istruttori Rolfers di livello avanzato, Ida Rolf volle che ci spogliassimo, mantenendo solo la biancheria intima, e che ci disponessimo poi tutti insieme in piedi di fronte a lei. Eravamo in dieci, e mentre ci osservava le sue spalle si incurvarono e la sua espressione divenne profondamente triste.
« Che pasticcio» disse, «nessuno di voi ha i piedi rivolti correttamente. Neppure uno». Ricordo che condivisi con lei quel momento di sconforto. Mi sentii depresso, perché, nonostante tanti anni di lavoro corporeo su me stesso, e i miei successi come terapeuta, ero ancora ben lontano da una condizione “corretta”.
In quel momento a noi dieci importava ben poco delle nostre vite relativamente appaganti (la maggior parte di noi aveva superato i quarant’anni), e dei nostri corpi in condizioni notevolmente superiori rispetto alla media. Alla dottoressa Rolf importava ben poco, in quel momento, di aver contribuito in maniera determinante alla formazione e al benessere di tutti noi e, attraverso le nostre vite, alle vite dei nostri clienti.
Tutti noi eravamo profondamente tristi, semplicemente perché i nostri piedi “non erano a posto”.
I nostri piedi non erano a posto perché non corrispondevano all’ideale somatico sviluppato dalla dottoressa Rolf, raffigurato simbolicamente dall’immagine del “bambino a blocchi”, che costituisce il logo dell’Istituto Rolf.
Si fa riferimento a un modello astratto tale per cui il cosiddetto “rapporto corretto” prevede che la trasmissione del peso corporeo avvenga in modo specifico attraverso la tibia e il perone fino all’arco plantare, ossia all’arcata scheletrica del piede.
Questo modello astratto non trova corrispondenza nel mondo reale dei piedi gonfi e sudati.
Un modello ideale non ha nulla a che vedere con la vita reale degli uomini e delle donne… Esiste solo e unicamente sotto forma di schemi disegnati a inchiostro, e nell’attività mentale della gente che li elabora.